Cistite ricorrente - Coliman compresse

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Cistite ricorrente

Quando usare Coliman > Cistiti classificazione
INDICE DEGLI ARGOMENTI
  • La cistite ricorrente

  • La recidiva

  • La reinfezione

  • Epidemiologia della cistite ricorrente

  • Cause (etiologia) della cistite ricorrente

  • Patogenesi della cronicizzazione

  • Quadri anatomopatologici

cistite follicolare
cistite cistica
malacoplachia o cistite xantogranulomatosa

  • Diagnosi della cistite ricorrente

  • Terapia  della cistite ricorrente


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La cistite ricorrente costituisce una delle principali cause di temporanea incapacità lavorativa. La frequenza con la quale una cistite semplice  ed occasionale  si trasforma in ricorrente varia molto in letteratura dipendendo dai fattori predisponenti che vengono inclusi nella valutazione clinica.
È identica alla cistite semplice con l’unica differenza della periodicità del quadro.
Ci sono state varie controversie sulla frequenza minima a partire dalla quale una cistite si può considerare ricorrente.
Si è stabilito che più di 3 episodi nello stesso anno possono classificarsi come cistite recidivante. La ricorrenza può consistere in reinfezioni o in recidive: le reinfezioni sono, nelle donne, più frequenti delle recidive e la maggior parte   di esse si manifesta settimane o mesi dopo l’infezione precedente; la recidiva invece si manifesta poco dopo la sospensione della terapia (entro alcuni giorni e, comunque, sempre entro un mese). La distinzione tra recidiva e reinfezione ha ovvie   ricadute in termini di terapia.

La recidiva
La recidiva consiste nella riattivazione di una precedente infezione non eradicata, le cui cause possono essere:
• terapia inappropriata (per tipo, posologia e durata del trattamento antibiotico) o insufficiente concentrazione del farmaco nelle urine per insufficienza renale;
• antagonismo tra antibiotici o interferenza sull’assorbimento intestinale ad opera di altri farmaci (antiacidi, carbone vegetale, sali di ferro ecc.);
• malattie del tubo gastroenterico che alterano l’assorbimento del farmaco e/o ne accelerano l’eliminazione;
• comparsa di ceppi resistenti per trasmissione di fattore R o per selezione di doni resistenti nella stessa specie batterica;
• insorgenza di soprainfezione da batteri o miceti per alterato equilibrio della flora saprofitica indotta dal precedente trattamento;
• infezioni miste con microrganismi dotati di differente sensibilità agli antibiotici;
• persistenza di un focolaio infettivo genitale o paragenitale che alimenta l’infezione urinaria;
• alterazione dei meccanismi di difesa naturale, sia generali che locali;
• infezione persistente del parenchima renale;
• presenza di un processo patologico sottostante (es. una litiasi) o una malformazione urologica.

Se l’infezione è sostenuta da batteri particolarmente virulenti (Pseudomonas, Serratia, Klebsiella, ecc.) o se l’infezione recidiva nonostante una terapia antibiotica correttamente prescritta sulla base dell’antibiogramma, è  opportuno ricercare una patologia urologica o una pielonefrite subclinica. In particolare, è da considerare la presenza di una calcolosi, soprattutto se si tratta di litiasi a stampo che può ospitare al suo interno grandi masse di batteri: quando  questi ultimi raggiungono una cosiddetta “densità critica” anche i batteri sensibili non risentono più dell’azione del farmaco.
La comparsa di resistenza batterica è la causa più comune di recidiva (Kim e Schaeffer, 1994) e in genere si tratta di pazienti trattate più o meno a lungo con un antibiotico che ha selezionato una flora saprofita resistente. Le sulfonamidi e  le penicilline inducono spesso resistenza nella flora intestinale per trasferimento di plasmidi. Poiché i chinoloni e la nitrofurantoina non inducono tale tipo di resistenza, essi rappresentano una buona alternativa per il trattamento delle recidive  o per le pazienti rimaste sintomatiche dopo un ciclo iniziale di terapia antimicrobica in attesa dei risultati dell’urinocoltura.

La reinfezione

Numerosi studi sono stati dedicati ai meccanismi della reinfezione: come nelle infezioni isolate, i germi originano dall’intestino, colonizzano il vestibolo vaginale e la regione periuretrale e successivamente risalgono in vescica. Tuttavia in  alcune donne le infezioni urinarie tendono a ricorrere con frequenza: perché?
Tra le cause favorenti sono state indicate:
• i rapporti sessuali;
• le alterazioni dell’alvo, in particolare la stitichezza;
• l’uso di diaframmi vaginali con o senza creme sper
micide, che facilitano la colonizzazione vaginale;
• la scarsa idratazione;
• le cattive abitudini minzionali (minzioni infre
quenti);
• una igiene perineale errata per eccesso o per difetto.
Questi fattori favorenti si sommano, almeno in alcune pazienti, ad una predisposizione genetica alla colonizzazione batterica.



Epidemiologia

La frequenza di cistite ricorrente nella popolazione generale può stimarsi tra l’1 e il 2% delle donne. Una ricerca realizzata in Inghilterra durante 4 anni in 721 donne di ambiente rurale rivelò l’esistenza di sindrome minzionale  ricorrente nell’ 8-14% della popolazione (Jolleys, 1991).
Per quanto non si praticarono urinocolture per confermare il sospetto di infezione urinaria, si mise in evidenza l’alta frequenza della sindrome minzionale femminile, la necessità di una diagnosi differenziale e la possibilità che la cistite  ricorrente avesse una frequenza maggiore di quella stimata. Risultò inoltre che la frequenza di cistite batterica ricorrente era circa il 20% nelle donne con sindrome minzionale.
Si tratta di un’entità clinica che interessa esclusivamente la donna nel corso di tutta la sua vita.

Approssimativamente il 20-25% delle cistiti semplici può evolvere a forme croniche recidivanti.

La distribuzione della frequenza per età mostra una curva che inizia tra i 10- 15 anni, ha il suo apice tra i 20 e i 30 anni e si mantiene elevata fino ai 60 anni, momento in cui  subisce un decremento che è continuo fino alla morte.
La spiegazione per una tale distribuzione pare essere in relazione a tre diversi momenti nella vita della donna: l’inizio dell’attività sessuale, il climaterio e, in minor misura, l’età avanzata. L’attività sessuale  facilita, durante il coito, per massaggio uretrale, l’entrata passiva dei germi in vescica.
La sospensione della secrezione ormonale che avviene nella menopausa induce, oltre a cambiamenti somatici e psicologici, un rimòdellamento dei recettori cellulari con il risultato di una maggiore recettività. Kawada (1992) in uno studio epidemiologico  su 304 cistiti, trovò che le forme ricorrenti erano significativamente più frequenti nel gruppo di donne in menopausa.
La concomitanza di una scarsa igiene intima e/o di una più o meno piccola incontinenza urinaria che spesso interessa donne di età avanzata, favoriscono la crescita e la colonizzazione permanente di uropatogeni nell’area vagino-perineale.
La frequenza durante l’infanzia e l’età scolare rimane molto bassa, per elevarsi in misura significativa con la pubertà. L’inizio della secrezione ormonale aumenta la densità dei recettori cellulari e predispone con maggiore  probabilità all’adesione batterica.

Eziologia

Quando si tratta di cistite ricorrente batterica vera, la frequenza di isolamento dell’agente eziologico e il suo carattere monomicrobico superano il 99% dei casi.
L’escherichia coli si rivela di fatto l’unico agente eziologico nelle cistiti ricorrenti con apparato urinario normale. Si tratta di ceppi fimbriati in cui per metà sono presenti  fimbrie MS (57%), nel 23% MR e nel rimanente 12% convivono i due tipi di fimbrie (MS + MR). Altri uropatogeni poco frequenti sono F mirabilis, S. saprophyticus, Klebsiella ed Enterococco, tutti portatori di adesine.
Secondo Hovelius (1979) lo S. sap’rnphyticus è un batterio la cui virulenza (specialmente per la sua capacità adesiva) è in grado di produrre cistiti ricorrenti al pari dell’E. coli; la sua minore frequenza come causa di cistite  ricorrente è forse da attribuire alla minor presenza di questo batterio nel serbatoio intestinale. Tuttavia le pazienti che assumono per un qualsiasi motivo e con una certa frequenza antibiotici selettivi contro i gram-negativi, possono essere soggette  ad infezioni causate da questo batterio.
Stapleton (1991) comparò i fattori di virulenza in 121 ceppi di E. coli isolati in donne con infezione un- nana occasionale/ricorrente con 156 ceppi di E. coli di origine fecale di donne senza storia clinica di infezioni urinarie. Trovò che l’espressione di fimbrie P e F, emolisine e adesine superficiali era significativamente superiore (p < 0,002-0,007) nel gruppo con infezioni sintomatiche. Inoltre, mise in evidenza che i ceppi di donne portatrici di diaframma erano più virulenti degli  altri, lasciando intendere che l’uso di questo dispositivo possa predisporre all’infezione urinaria.
La maggioranza degli autori ritiene che i nuovi episodi si devono in più del 75% dei casi ad agenti eziologici diversi dal primo (reinfezione) e anche se può trattarsi della stessa specie si tratterà comunque di sierotipi diversi. Se viene rinvenuto  un ceppo identico si dovrà intendere come persistenza di infezione, non eradicata da un antibiotico probabilmente inappropriato.

Diagnosi

La sindrome minzionale è presente in tutti i casi: in più del 90% dei casi da sola, nei rimanenti associata a dolore ipogastrico e/o lombare. La temperatura corporea è inferiore a 37 °C  nella quasi totalità dei casi (97%) e solo in una piccola percentuale (3%) si osserva una febbricola non superiore a 37,5 °C. E difficile pertanto la confusione con la pielonefrite anche nei casi con dolore lombare.
Data la possibilità che la sindrome minzionale non sia da causa infettiva è imperativo che il sospetto venga confermato con l’uninocoltura.
Nella cistite ricorrente, in cui è centrale l’esigenza di identificare con precisione il germe che causa l’infezione acuta, diventano se possibile ancora più delicate le modalità di raccolta, conservazione e trasporto dell’urina per urinocoltura al fine di limitare al massimo la possibilità di inquinamento del campione. Le principali norme sono riassunte nella tabella 2.
L’esame urocolturale si compone di due fasi: la prima è quella della conta e dell’identificazione (quest’ultima in base a test biochimici quali la riduzione dei nitrati, la produzione di indolo, di ureasi, di lisina decarbossilasi,  di betagalattosidasi); la seconda è l’antibiogramma secondo la tecnica di diffusione disco-placca che permette di definire i livelli di sensibilità e resistenza dei microrganismi ai più comuni antibiotici.
Se non si sviluppano germi (urinocoltura negativa), l’esame va ripetuto per tre volte con l’intervallo di alcuni giorni prima di classificare la malattia come “cistite ricorrente abatterica”. La principale obiezione a questo  procedimento è il suo eccessivo costo economico. Questo si potrebbe evitare se si diffondesse, per i controlli, l’uso di dispositivi in stick, che basano la loro azione sulle reazioni chimiche prodotte dai batteri a contatto con l’urina  campione o, più spesso, aggiungendo all’urina un substrato specifico che cambia colore per l’azione dei batteri. Tali dispositivi hanno il vantaggio di poter essere usati a temperatura ambiente, di essere maneggevoli e permetterebbero  di limitare le analisi di laboratorio ai soli casi in cui si osserva sviluppo microbico.
Uno studio su 196 casi di cistite ricorrente batteri ca indica che il riscontro di colonie è superiore a 1.000.000 di UFC/ml nel 66,5% dei casi, è tra 100.000 e 1.000.000 nell’1,5% e inferiore a 100.000 UFC/ml in un terzo dei casi (Dalet,  1991). Schaeffer (1987) riporta che anche la crescita di 100 UFC/ml può segnalare una infezione e avverte della necessità di analizzare rapidamente i campioni di urina in modo da evitare i falsi positivi che possono svilupparsi per contaminazione  esterna. E importante infine tenere conto che per includere una paziente nel novero delle cistiti ricorrenti non complicate bisogna escludere la presenza di una patologia urologica sottostante. La pratica della biopsia in corso di cistoscopia permetterebbe  di classificare con precisione il carattere istologico della malattia.

Patogenesi

La cronicizzazione della cistite può essere spiegata con il concorso di uno o più fattori predisponenti che interferiscono con i meccanismi di difesa dell’ospite in modo permanente o duraturo o facilitano la presenza e l’entrata degli  uropatogeni in vescica.
La presenza concomitante di più fattori predisponenti aumenta in modo geometrico la possibilità di cistite ricorrente e nella realtà interviene più di un meccanismo.
Una volta che si sviluppa una cistite ricorrente, si instaura un circolo vizioso che è molto difficile spezzare soprattutto quando la terapia della stessa interviene in modo parziale. Si deve tenere conto che la colonizzazione permanente, da parte  di uropatogeni, della vagina e dell’area perineale è la condizione indispensabile per lo sviluppo di una cistite ricorrente.

Predisposizione dell ‘ospite

I fattori predisponenti possono essere permanenti o transitori. La recettività individuale, il climaterio e l’età avanzata sono caratteristiche permanenti di una paziente e nulla si può fare per modificarle anche se qualcosa si può  fare per minimizzarne le conseguenze.
Alcune donne posseggono geneticamente un tipo ed una densità di recettori cellulari che le rendono particolarmente suscettibili, rispetto al resto della popolazione, alla cistite ricorrente. La densità dei recettori sulle cellule squamose e nel  muco vaginale è significativamente più elevata nelle donne cosiddette “non secretrici” rispetto alla “secretrici”, il che rende le prime molto più recettive all’infezione urinaria (Navas, 1993). Il gruppo sanguigno  Lewis può identificare lo stato di secretrici nella maggior parte della popolazione. Sheinfeld et al. (1989) studiarono in 3 gruppi (donne con infezione urinaria ricorrente, normali e popolazione generale) le caratteristiche antigeniche ematiche e  trovarono che le donne con infezioni ricorrenti appartenevano con frequenza significativa al gruppo sanguigno. Le (ab-) e Le (a+ b-). I fenotipi Le(a- b-) e Le(a+ b-) hanno due caratteristiche che predispongono i soggetti alla ricorrenza dell’infezione:  una maggiore densità di recettori sulle cellule uroepiteliali che si rendono disponibili per l’adesività dei batteri e lo stato di “non secretore”, cioè una minore secrezione di fattori protettivi (glicoproteina 1 e proteina  di Tamm-Horsfall). Alla luce di questo risultato il gruppo di Stapleton (1995) ha studiato la colonizzazione persistente vaginale e rettale da parte dell’Escherichia coli coli in relazione allo stato di “secretore” e l’incidenza  delle infezioni ricorrenti: ad un gruppo di 40 giovani donne (20 con infezioni ricorrenti, 20 senza storia di infezioni) si determinò il tipo di colonizzazione vaginale e rettale durante 6 mesi. In generale si osservò:
un’alta prevalenza di ceppi di E. coli con fimbrie P e/o F, ma il gruppo delle “non secretrici” che svilupparono infezione durante il periodo di studio avevano una prevalenza significativamente maggiore di E. coli Pfimbriato rispetto  al gruppo delle secretrici con infezione (56% vs. 27%, p < 0,042) o al gruppo delle “non secretrici” non infettate (56% vs. 31%, p <0,046). Questo risultato suggerisce che le donne “non secretrici” sono più suscettibili  alla colonizzazione da E. coli P-fimbriato rispetto alle “secretrici”.
Nel periodo immediatamente precedente la menopausa e in quello post-menopausale, le donne subiscono forti variazioni ormonali che tra l’altro riducono la densità dei recettori cellulari; inoltre lo stato sub-infiammatorio permanente della mucosa  vescica- le inibisce la sintesi di glicoproteina 1.
L’età avanzata influisce sull’igiene personale (diminuita per le difficoltà fisiche) e le piccole perdite involontane di urina facilitano la creazione di un ambiente umido ideale per la colonizzazione vagino-perineale da parte di uropatogeni.
L’attività sessuale, i dispositivi intrauterini (DIU) e la stipsi sono fattori variabili che possono essere modificati per evitare che divengano fattori predisponenti. L’atto sessuale facilita l’entrata e l’ascesa passiva  degli uropatogeni presenti nell’area perimeatica mediante il massaggio uretrale retrogrado durante il coito e i DIU, secondo taluni Autori (Foxman, 1985; Nicolle, 1987), interferirebbero con il libero passaggio dell’urina creando una compressione  estrinseca dell’uretra che provoca una turbolenza retrograda del flusso. La stipsi provoca un aumento della carica batterica (in prevalenza di E. coli) nel serbatoio rettale, aumentando la probabilità di colonizzazione vaginale. Anche la diarrea,  che pure è una condizione opposta alla precedente, è un fattore predisponente in quanto squilibra la flora batterica in favore degli uropatogeni. Vanno poi prese in considerazione tutte quelle condizioni che vanificano in forma permanente i meccanismi  di difesa vescicale dell’ospite. Più di 20 anni fa Stamey et al. (1978), osservarono che i livelli di IgA secretrici in pazienti con cistiti ricorrenti erano significativamente più bassi che negli individui normali. Anche se esistono serie  difficoltà tecniche nella determinazione delle IgA secretrici nelle urine, cosa che può rendere inaffidabili i risultati, c’è comunque da chiedersi perché si ha questo calo.
Parrebbe logico che le lesioni epiteliali che si verificano nel primo episodio infettivo possono produrre una inibizione della sintesi delle Ig, ma è anche possibile che l’inibizione sia precedente e frutto di una immunosoppressione. Anche 1’ escrezione di glicoproteina i dalla mucosa vescicale può essere inibita dall’azione congiunta di ceppi molto invasivi che producono ampie lesioni mucose e dallo stato subinfiammatorio permanente determinato, per esempio, dal climaterio. La  proteina di Tamm-Horsfall può essere consumata nel neutralizzare virus presenti nell’urina per filtrazione renale a causa di eventuali malattie virali sistemiche (per es. da citomegalovirus), il che ne produce una riduzione a livello vescicale.
Tuttavia, in assenza di infezioni sistemiche concomitanti, non si è potuto dimostrare, nelle donne con cistiti ricorrenti, una carenza di proteina-TR. Infatti la media di escrezione di proteina-TH in queste pazienti è di 57 mg/L a fronte di 66,3  mg/L nel gruppo di controllo (Reinhart, 1990). L’azione protettiva dei GAG (solubili in acido) può essere ridotta in modo duraturo dall’uso di una dieta acidificante (dieta carnea). Infine ci sono i fattori che derivano dall’andamento  del primo episodio di cistite, dovuti all’assenza o all’insufficienza del trattamento antibiotico (scelta inadeguata dell’amibiotico o scorretta posologia). La scelta empirica di certi antimicrobici (ampicillina, amoxicillina, cotrimossazolo)  può favorire la persistenza degli agenti eziologici iniziali, provocando lesioni epiteliali più estese del previsto.
La scelta della monodose senza un controllo batteriologico successivo può contribuire alla cronicizzazione della cistite e così pure la scelta di un antibiotico ad azione batteriostatica.

Quadri anatomo patologici di cistite ricorrente

Il quadro istologico di base consiste in un infiltrato plasma-linfocitario più o meno evidente nelle aree di infiammazione acuta a seconda del numero delle ricadute della paziente. Oltre all’aspetto classico, esistono altre 4 modalità istologiche  di cistite cronica di tipo infettivo: la cistite follicolare, la cistica, la malacoplachia e la cistite xantogranulomatosa.

Cistite follicolare
Si tratta di una cistite con alterazioni variabili dell’epitelio (metaplasia, iperplasia o ulcerazioni focali). Le pazienti con infezioni ricorrenti mostrano un’abbondante presenza di cellule mononucleate nella lamina propria con aspetto  di granuloma. Questa componente ha suggerito una origine tubercolare, ma ripetuti studi batteriologici dei noduli non hanno mai messo in evidenza germi del genere Mycobacterium . Si è invece dimostrata una relazione di queste lesioni linfoidali con  la neoplasia vescicale. L’esatto ruolo immunologico degli aggregati linfoidi non è noto e potrebbe essere messo in relazione con una risposta cellulare di tipo B con produzione di anticorpi “in situ”.

Cistite cistica
Consiste nella lesione metaplasica descritta da Morgagni più di 200 anni fa. Nell’Ottocento si introdusse l’ipotesi che le cisti vescicali fossero derivate da nidi epiteliali indovati nella sottomucosa. Attualmente si crede che le cisti  siano il prodotto della evoluzione metaplasica mucinosa di nidi epiteliali. In forma parcellare questo aspetto è presente nel 60% delle vesciche esaminate in sede autoptica (Wiener, 1979). Queste lesioni sono associate con la cistite cronica e in generale  con l’irritazione cronica della vescica. La relazione tra cistite cistica e neoplasie vescicali resta da dimostrare anche se le due patologie in un’alta percentuale di casi coesistono.

Malacoplachia-Cistite xantogranulomatosa
Entrambe queste forme sono piuttosto rare e generalmente sono la conseguenza di patologia urologica soggiacente (per es. calcolosi, e in questo caso dovrebbero essere considerate come complicate) ma possono presentarsi anche in donne con apparato urinario  sano. In ogni caso si presentano clinicamente come cistiti ricorrenti. Anche se l’area colpita è più frequentemente la vescica, talora le lesioni possono essere reperite in altre zone dell’apparato urinario come il rene e la prostata.  La malacoplachia è una patologia caratterizzata dall'anomala risposta  macrofagica allo stimolo ed alla aggressione da parte di agenti infettivi. Può incontrarsi  nella vescica ma , anche come  abbiamo visto, questa non è la sede esclusiva. La  vescica mostra placche di colore giallastro che durante la loro evoluzione si trasformano in aree di fibrosi secondaria (aspetto pseudotumorale) dal momento che il collagene rimpiazza la lesione infiammatoria. L’infiltrato è di tipo misto e  le cellule fagocitarie contengono numerosi granuli (corpi di Michelis-Gutman), che sono caratteristici. Si sospetta che questi corpi siano la conseguenza della digestione lisosomiale incompleta dei batteri. Anche in questo caso si è notata una concomitanza  con forme di carcinoma transizionale, anche se non si è stabilita una relazione causale tra le due lesioni.
La patogenesi è poco conosciuta; si sono avanzate due ipotesi: una, secondo la quale i monociti del soggetto avrebbero scarsa attività battericida, l’altra punta invece su un eccesso di produzione dell’alfa-l-antitripsina. Non è  difficile la confusione con la leucoplachia o con forme pseudotumorali.
La cistite xantogranulomatosa è un’altra variante che istologicamente è molto simile alla malacoplachia. L’infiltrato mostra come caratteristica differenziale alcuni macrofagi con citoplasma spumoso e assenza di corpi di Michaelis-Gutmann,  la presenza di cellule giganti e depositi di colesterolo. Come la precedente, è in relazione con cistiti croniche a lunga evoluzione.

Trattamento

Alla luce di quanto esposto è difficile pensare che il trattamento della cistite ricorrente consenta risultati brillanti. La risoluzione definitiva del quadro è difficile da conseguire perché presupporrebbe spesso l’intervento su fattori  predisponenti di carattere permanente.

Quindi  è da considerare un successo terapeutico l’ottenimento della riduzione del numero degli episodi di cistite.


Più di 20 anni fa Brumfitt (1978) notava che, nonostante i grandi progressi conseguiti nel trattamento di altre infezioni batteriche grazie alla terapia antibiotica, per quanto riguardava le cistiti ricorrenti le percentuali di guarigione non erano  molto cambiate rispetto al passato. Negli ultimi anni le cose sono migliorate ma siamo ancora lontani dal risolvere . La esperienza accumulata ha reso manifesto che essa non risolve il problema poiché la bonifica completa dagli uropatogeni del serbatoio  intestinale è impossibile nel lungo periodo.
La paziente  ovviamente risente  di questo  e spesso manifesta quadri di ansietà o depressione che incidono sull'equilibrio psichico e alterano il suo comportamento sociale. Nei casi in relazione con la attività sessuale si induce  nel tempo un  rifiuto del rapporto sessuale stesso con crisi nella buona armonia della coppia.
L’orientamento attuale del trattamento della cistite ricorrente contempla in primo luogo una corretta scelta dell’antibiotico e del suo dosaggio; in secondo luogo l’azione, con terapie complementari , sui fattori cosiddetti predisponenti  e che quindi sia finalizzata a:
• rinforzare i meccanismi di difesa vescicale con la somministrazione di GAG sintetici;
• restaurare la resistenza naturale con ormoni nella paziente in menopausa;
• indurre un aumento delle Ig specifiche, anti-capsula, antifimbria mediante l’elaborazione di un vaccino;
• contrastare la colonizzazione vaginale da parte degli uropatogeni.

La prevenzione degli episodi di ricorrenza si può ottenere solo se si aumenta la resistenza del tratto urinario all’infezione
. Pertanto durante le fasi acute si somministrerà un antibiotico, che risponda ai requisiti già  espressi per la cistite acuta, per 5-7 giorni. In seguito si continuerà con una posologia denominata “soppressiva” (vera e propria antibioticoprofilassi) per una durata indefinita ma comunque non inferiore ad un mese. Tale terapia “soppressiva” va iniziata a guarigione clinica e batteriologica dell’episodio acuto e consiste nella somministrazione di un antibiotico per via orale, in dose unica giornaliera, dotato di buona tollerabilità e con un ottimale rapporto  costo-beneficio. Il momento più opportuno per l’assunzione della dose è la sera prima di coricarsi e dopo aver vuotato la vescica allo scopo di ottenere concentrazioni efficaci dell’antimicrobico durante tutta la notte.
Gli antibiotici più usati sono il cotrimossazolo, la nitrofurantoina, la cefalexina, i chinoloni ed i fluorochinoloni, tutti alla metà della dose terapeutica. Winberg et al. (1993) sconsigliano l’uso dell’amoxicillina e analoghi poiché  produce profonde alterazioni nella flora nativa e favorisce la colonizzazione di ceppi resistenti di E. coli. L’elevato potere battericida, l’alta diffusibilità tissutale, il basso costo e la sostanziale tollerabilità farebbero della  njtrofurantoina il farmaco ideale nella antibioticoprofilassi; è stato però dimostrato che nella terapia a lungo termine questo chemioterapico può risultare tossico. E stato segnalato infatti il possibile sviluppo di polmonite interstiziale cronica,  ipersensibilità polmonare acuta, danni epatici, neuropatia ed ematuria (Bartoccioni, 1994).
Una terapia prolungata può giocare a sfavore anche del cotrimossazolo nei confronti del quale molti ceppi di E. coli possono sviluppare resistenza; ne andrebbe pertanto limitato l’uso ai casi in cui sia accertata una sicura sensibilità. Uno  studio durato 15 anni realizzato da Stamm (1991), sulla terapia soppressiva con ampicillina, nitrofurantoina e cotrimossazolo ha indicato che la proporzione di sviluppo di forme resistenti non è cambiata per i primi due mentre è aumentata negli  ultimi 5 anni per il cotrimossazolo.

In letteratura sono stati utilizzati due schemi di profilassi antibiotica
:
la profilassi continua, basata sull’assunzione giornaliera di un chemioterapico in dose ridotta;
la profilassi discontinua in cui due-tre volte alla settimana la paziente assume una dose normale o ridotta del farmaco. L’assunzione  può avvenire dopo il rapporto sessuale in quelle pazienti in cui il coito si sia rivelato il più importante fattore predisponente. Entrambi gli schemi si sono rivelati ugualmente efficaci nel ridurre la frequenza delle recidive, ma non hanno di  fatto modificato la storia naturale della malattia. Sospesa la profilassi infatti, qualsiasi ne fosse stata la durata (3-24 mesi), nel 50% delle donne ricomparivano le infezioni.
La terapia soppressiva va comunque integrata con provvedimenti atti ad eliminare o minimizzare l’effetto dei fattori predisponenti al fine di spezzare il circolo  vizioso creatosi nella paziente:
• nel caso di donne recettive, la vaccinazione con ceppi omologhi se il germe isolato è sempre identico, o eterologhi, associata a somministrazione orale di GAG, può dare ottimi risultati;
• nel caso di donne in cui gli episodi si sviluppano in stretta relazione con l’attività sessuale si raccomanderà l’assunzione di una dose di antibiotico prima o immediatamente dopo l’atto sessuale;
• nel caso di donne in menopausa, il trattamento antibiotico va integrato con l’assunzione di terapia ormonale;
• nel caso di donne con stipsi o diarrea cronica si instaurerà un regime dietetico e farmacologico atto a regolarizzare l’alvo;
• nel caso di donne anziane con piccole perdite di urina da causa non organica, si raccomanda di mantenere l’area vaginale asciutta con l’impiego di panni e assumere anticolinergici (oxibutinina).

Profilassi non farmacologica
Questa è molto importante

1) Norme igienico-sanitarie
Spesso sottovalutate
, hanno in realtà una grande importanza perché a volte possono, da sole, causare la scomparsa o una drastica riduzione del numero degli episodi infettivi. Esse comprendono:
• Idratazione adeguata (2 1 di acqua oligominerale al giorno), possibilmente distribuita nel corso della giornata e minzioni frequenti. Un adeguato ricambio idrico ha il duplice effetto di ridurre l’azione irritati- va dovuta ad urine troppo  concentrate e di garantire un efficace wash-out dei batteri presenti nelle vie escretrici.
• Tenere l’intestino regolato, ricorrendo ad una dieta ricca di fibre e, se necessario, a blandi lassativi poiché la stipsi favorisce la moltiplicazione dei batteri fecali. Evitare bevande alcalinizzanti (ricche di CO2) dato che un pH  urinario acido ostacola la crescita batterica,
• Effettuare una accurata igiene perineale usando acqua e sapone neutro, detergeudosi con un movimento compiuto dall’avanti all’indietro e non viceversa.
• Non effettuare più di una lavanda vaginale alla settimana poiché l’uso eccessivo di detergenti antibatterici riduce l’acidità naturale della vagina, che costituisce un fattore di difesa contro lo sviluppo dei batteri.
• Nella donna sessualmente attiva è consigliabile unnare prima e, soprattutto, dopo il rapporto sessuale.
• Evitare l’uso di contraccettivi meccanici (diaframmi, creme spermicide) ed orali ad alto dosaggio ormonale, che contribuiscono alla congestione pelvica. Le pazienti che fanno uso di assorbenti interni devono rinnovare spesso il tampone,  che va rimosso durante la notte.
• Durante le mestruazioni e dopo un rapporto sessuale le misure igieniche devono essere particolarmente scrupolose per evitare la proliferazione di eventuali batteri presenti e la contaminazionie uretrale.
• Evitare di indossare biancheria intima in fibra sintetica o pantaloni troppo aderenti, che favoriscono la traspirazione e di conseguenza la moltiplicazione degli stafilococchi cutanei.

2) Incremento delle difese umorali e cellulari

 Immunostimolanti sintetici

Il principio si basa sulla somministrazione orale di composti chimici che mostrano una supposta azione stimolante aspecifica sulle Ig locali, sull’attività  fagocitaria dei macrofagi e sulle restanti cellule del sistema endoteliale. In realtà più che immunostimolanti dovrebbero considerarsi degli “immunonormalizzatori” giacchè solo un sistema immunitario deficitario ne viene stimolato.  Parrebbero agire direttamente sui linfociti (specialmente sui linfociti T), macrofagi e granulociti modificando- ne la proliferazione, la mobilità e la secrezione. Favoriscono la maturazione e la proliferazione delle cellule T senza avere effetto però  sul numero dei T-killer.
In linea di principio l’idea del loro uso è soddisfacente soprattutto se i composti usati sono ben tollerati e privi di tossicità. Quelli maggiormente impiegati sono il levamisolo e il procodazolo; i protocolli predisposti per avvalorare  l’efficacia clinica di questi farmaci sono tuttavia scarsi ed inconsistenti. E parere comune che essi sortiscano qualche risultato solo in pochi casi (Franois, 1983).

Immunostimolanti biologici

Il principio è lo stesso del precedente ma in questo caso per la stimolazione si usano frazioni batteriche dei principali uropatogeni responsabili. La somministrazione  è per via orale. In Europa si commercializza un estratto batterico proteico liofilizzato ottenuto da un idrolizzato alcalino di vari ceppi uropatogeni di E. coli (Urovaxom®).
Le esperienze immunofarmacologiche negli uomini hanno dimostrato che questi estratti incrementano la sintesi di interferone circolante, di IgA secretorie, l’attività fagocitaria dei granulociti e la produzione di linfociti B e T e cellule killer  (Bosch, 1988).
Le esperienze cliniche sono ancora scarse, ma in questo caso molto promettenti. Per esempio, un gruppo di 85 (Schulman, 1993) e uno di 61 (Tammen, 1990) pazienti con cistite ricorrente hanno assunto per via orale una capsula di estratto batterico per  un periodo di 6 mesi e sono state confrontate con gruppi di controllo rispettivamente di 81 e 59 pazienti, a cui veniva somministrato un placebo. Alla fine dell’esperimento (3 mesi dopo la fine della terapia immunostimolante) si verificò il  numero di recidive osservate: in entrambi i lavori il calo del numero degli episodi acuti era marcatamente significativo nel gruppo sottoposto a trattamento (media 0,68 episodi vs. 1,4 p <0,0001 e media 0,82 vs. 1,8 p <0,001).
La tolleranza in entrambi gli studi è stata classificata come eccellente (meno del 2% di intolleranza locale) e inferiore al gruppo placebo (6%).
In un altro lavoro (Frey, 1986) con un totale di 64 pazienti non ospedalizzate con infezioni urinarie ricorrenti si osservò a distanza di 3 mesi dalla fine della terapia una riduzione significativa della disuria, della batteriuria, della leucocituria  e del consumo di antibiotici rispetto al gruppo di controllo. Data la comodità di somministrazione, l’eccellente tolleranza e l’assenza di effetti collaterali degni di nota, Kaijer (1983) suggerisce la convenienza di immunizzare la popolazione  sana preventivamente con l’uso orale degli estratti batterici.
In conclusione, anche se l’esperienza clinica non è ancora molto vasta, tutto pare indicare che gli immunostimolanti biologici possano rappresentare una concreta speranza per il trattamento delle cistiti ricorrenti.

Preparazione di vaccini

Un altro aspetto importante è costituito dalla preparazione di un vaccino che permetta di ottenere una risposta più specifica possibile. Se il batterio infettante è sempre lo stesso e di forma sierologicamente identica, l’elaborazione  di un vaccino dovrebbe promuovere la sintesi di anticorpi specifici contro antigeni somatici, capsulari e fimbriali ed offrire una protezione efficace. Una esperienza realizzata su 21 donne con cistite ricorrente il cui agente eziologico era sempre lo  stesso, ha dimostrato che la preparazione di un autovaccino a somministrazione parenterale è straordinariamente efficace:
si è ottenuta la remissione completa in tutte le pazienti per un periodo medio di 24 mesi (tra i 18 e i 36 mesi) (Dalet e Del Rio, 1997). Purtroppo la maggior parte degli Autori segnala che solo una piccola percentuale (10-25%) degli episodi ricorrenti  è da attribuite a ceppi sierologìcamente identici, il che ovviamente limita la possibilità di preparare un vaccino. Esperienze di Grischke e Ruttgers (1987) dell’Università di Heidelberg con un vaccino parenterale standard contenente  6 antigeni capsulari di E. coli, 2 ceppi di E rnirabilis, 1 ceppo di Klebsiella ed Enterococco su 203 donne con cistite ricorrente, a fronte di un gruppo di controllo di 198 donne trattate solo con antibiotico, hanno dato promettenti risultati. Il numero  di recidive nei 12 mesi di follow-up fu significativamente inferiore (p < 0,001)


Somministrazione di GAG

Da quando Parson (1977) identificò nelle urine la presenza dei GAG attribuendo loro un’orìgine locale per sintesi nell’epitelio di transizione ed una funzione difensiva per la vescica (blocco delle fimbrie MS), si aprì una possibilità  in più per il trattamento della cistite ricorrente. Da allora venne sintetizzata una lunga serie di eparinoidi con minimi effetti anticoagulanti e somministrabili per via orale. I risultati non si fecero aspettare e si trovarono due composti, il pentosanpolisolfato  e il carbenoxolone sodico che comprendevano entrambi i requisiti. Soprattutto il primo fu introdotto nella pratica clinica ma senza i risultati sperati. Il protocollo terapeutico prevedeva la eradicazione dell’infezione con I’antìbioticoterapia  e la successiva somministrazione di GAG per la profilassi della recidiva. Le esperienze cliniche hanno dimostrato una certa riduzione delle recidive, ma non nella misura attesa. Quasi 10 anni dopo Parson (1986) e nel 1994 il gruppo di Mulholland (Byrne,  1994), scoprendo che i GAG non erano prodotti nella vescica bensì secreti dalle cellule tubulari renali, sembrarono aver trovato la chiave per spiegare l’insuccesso osservato. Oggi sappiamo che i GAG sono solo un sistema difensivo di seconda  linea per la vescica poiché, a differenza della glicoproteina 1, non sono in grado di intrappolare le fimbrie MS ma fungono solo da copertura meccanica protettiva per la mucosa.
Purtroppo, mentre la somministrazione orale dei GAG permette una eliminazione per via renale in forma immodificata, questo non si realizza per la glicoprotema i, la cui frazione proteica viene idrolizzata a livello gastrointestinale perdendo le sue proprietà.
Teoricamente è possibile che la somministrazione orale di D-mannosio, una volta escreto con le urine, blocchi le fimbrie MS; purtroppo il D-mannosio è un isomero del D-glucosio ed è rapidamente metabolizzato. Per tale motivo è stato tentato  l’impiego di D-metilmannosio, che viene escreto per via renale immodificato. Non sono noti i risultati del suo impiego clinico.

Trattamento ormonale

L’ipoestrogenismo che sì determina durante la menopausa può provocare uno stato di infiammazione cronica nella sottomucosa del trigono vescicale, la cui manifestazione clinica è una sindrome minzionale permanente (cervìco-trigonite).
All’inizio l’urina è sterile (cistopatia ad urine chiare) ma l’inibita secrezione di glicoproteina 1 favorisce la colonizzazione batterica e, benchè gli antibiotici eradichino temporaneamente l’infezione, la sindrome  mmzionale persiste. Questo a volte induce il clinico a credere in una persistenza dei batteri per inefficacia dell’antibiotico. In queste pazienti sembrerebbe logico pensare che l’assunzione contemporanea di antibiotici orali ed estrogeni  pdssa risultare più efficace della sola antibioticoterapia. Sperimentalmente si è dimostrato che la ridotta increzione ormonale è capace di per sé di inibire la sintesi di glicoproteina 1: nelle coniglie ovariectomizzate Weisman et al. (1984),  hanno osservato che la mucosa vescicale mostra una significativa e marcata perdita, rispetto ai controlli, della capacità di sintesi di glicoproteina 1; inoltre gli studi di Venagas et al. (1995) hanno dimostrato sperimentalmente che il muco vaginale  (anch’esso sensibile alle variazioni dello stato ormonale della paziente) è capace di intrappolare batteri con fimbrie MS. La somministrazione di estrogeni può realizzarsi per via sistemica (orale) o topica. L’assunzione orale di 25  mcg al giorno di estradiolo riduce la ricorrenza delle cistiti (Felding, 1992); una ricerca realizzata da Raz (1993) su 50 donne in menopausa con cistite ricorrente, confrontate con 43 pazienti di contro!lo, applicando in vagina una crema a base di estriolo,  dimostrò una riduzione significativa degli episodi infettivi (0,5 versus 5,9 episodi per paziente/anno).
La sintomatologia disurica, che queste pazienti lamentano anche indipendentemente dalla presenza di batteri, è alleviata dalla terapia ormonale. Il ripristino dei livelli estrogenici (in forma sistemica o a livello locale) ha difatti per effetto la  risoluzione dello stato infiammatorio dell’epitelio, la ripresa della sintesi di glicoproteina 1 e l’induzione di mutazioni nei recettori cellulari della mucosa vescicale, che la rendono meno recettiva all’adesione batterica.

Modificazione dell' ecosistema vaginale

Si è detto più  volte che il serbatoio naturale degli uropatogeni è l’intestino e che non si deve alterare 1’ ecosistema microbico intestinale con l’abuso di antibiotici.
La forma più naturale e meno traumatica di contrastare lo sviluppo dei germi patogeni è l’ingestione orale di grandi quantità di germi saprofiti che  competono con gli uropatogeni; la diminuzione degli uropatogeni renderà meno probabile la colonizzazione vaginale, perchè potranno essere più facilmente allontanati dalla flora microbica autoctona. Elmer (1996), in un interessante lavoro di revisione  della letteratura dal 1966 al settembre 1995, conclude che esiste attualmente una sufficiente mole di dati sui benefici della bioterapia, realizzabile con diversi prodotti farmaceutici o, meglio, con la somministrazione di yogurt. La somministrazione  di probiotici avrebbe per effetto sia una competizione spaziale con gli altri germi presenti nel lume intestinale che una azione battericida diretta (produzione di acido lattico e di idroperossidasi).
Il risultato è una riduzione della carica batterica patogena, probabile responsabile delle infezioni urinarie.

De Simone (1992), ha anche dimostrato un effetto immunostimolante dei lattobacilli: tale attività sarebbe da ascrivere alla proprietà dei lattobacilli di aderire in vitro e in vivo ai linfociti T-helper e pertanto di stimolare direttamente la produzione  di citochine, come l’IFNg e la proliferazione delle cellule natura! Killer. Ovviamente si tratta di una terapia complementare, ma economica, di semplice esecuzione ed esente da rischi tossici. L’unica condizione è che i germi contenuti  nel preparato siano vitali. Una questione interessante è quali germi saprofiti siano più efficaci nel contrastare gli uropatogeni. Secondo Andreu (1995) i germi scelti per la terapia probiotica devono avere i seguenti requisiti:
• che siano di origine umana;
• che aderiscano prontamente e persistentemente alle cellule epiteliali;
• che interferiscano con l’adesione di altri uropatogeni;
• che producano acqua ossigenata e altre sostanze mibitorie.
Una moderna variante della precedente, che ha avuto recentemente qualche diffusione, è il deposito diretto di questi probiotici nell’area vaginale, in un primo tempo al fine di competere con gli uropatogeni ed in seguito per impedire i successivi  tentativi di colonizzazione. L’idea è suggestiva poiché questo tipo di terapia può dimostrarsi efficace in tempi minori rispetto alla somministrazione per via orale; in seguito il controllo della flora vaginale della paziente indicherà  se sospendere o meno il trattamento.
La tecnica è di semplice attuazione e possono essere usati preparati commerciali, di tipo farmacologico o derivati dal latte con bifidi attivi: con l’aiuto della siringa priva di ago si depositano in vagina e nell’area circostante 2-4  ml della sospensione realizzata con la polvere del preparato almeno per due volte al giorno.
Si tratta anche in questo caso di una metodica supplementare che può essere adottata in qualsiasi caso.
Un’altra variante consiste nell’applicazione topica in vagina di un antibiotico specifico per il germe responsabile. Questa metodica presenta diversi inconvenienti: è più costosa e soprattutto, avendo per effetto solo un’attività  battericida, elimina anche la flora autoctona. Una volta sterilizzata la vagina, l’epitelio sarà in balia del primo microrganismo che vi si installa anche se non particolarmente virulento.

Fitoterapia


E tradizione, soprattutto nei paesi anglosassoni, associare il succo di mirtilli alla terapia antibatterica delle infezioni urinarie, ma che tale pratica avesse una reale efficacia terapeutica restava da dimostrare. Avorn et al. (1994), hanno dimostrato  in pazienti che assumevano 300 ml al giorno di succo di mirtilli una riduzione del
50% del rischio di recidiva di infezione rispetto al gruppo di controllo.
Il succo di mirtillo, oltre a ridurre l’incidenza delle recidive, sembra essere efficace anche nelle infezioni acute. Se l’attività terapeutica pare dimostrata, non è ancora chiaro quale sia il composto dotato di proprietà antibatteriche  contenuto nel succo di mirtilli (si pensa alla vitamina C attiva perché riduce il pH urinario, ma le pazienti di controllo che assumevano una bevanda con la stessa quantità di vitamina C non hanno presentato il medesimo miglioramento clinico). E  un fatto curioso che sulla stampa italiana (anche medica) sia stata data una certa diffusione alla notizia senza considerare che il “cranberry juice” di cui parla Avorn non è il succo di mirtillo comune, che cresce nei boschi europei,  ma è il succo di una specie diversa, il Vaccinium oxycoccus, che cresce nell’America del nord, e a priori non è possibile ritenere che nelle specie europee siano presenti gli stessi principi attivi che si ritrovano in quello americano.

La L-Metionina fa parte degli aminoacidi essenziali contenete zolfo nella sua formula acidifica le urine esercitando una potente azione antibatterica nelle infezioni urinarie croniche. L’ ambiente acido inoltre diminuisce l'adesione dei batteri  patogeni alle cellule dell'urotelio e inibisce la crescita dei ceppi batterici. Un'infezione urinaria cronica con urine alcaline può indurre inoltre la formazione e la crescita di calcoli fosfatici. L'acidificazione delle urine con la L-Metionina migliora  la solubilità dei calcoli ed è un principio essenziale per evitarne la formazione di nuovi.

Uva ursina (Arctostaphylos uva ursi, fam.: Ericacee)  COLIMAN CPR DA  500 MG
Pianta medicinale utilizzata da secoli per le sue proprietà terapeutiche. Le foglie contengono due glucosidi, l’arbutina e la metilarbutina, che, eliminati per via renale, si scindono liberando idrochinone e metilidrochinone. Per le infezioni  urinarie si utilizza un infuso di foglie, di cui forniamo la seguente ricetta, tratta dalla “Storia naturale medica” (1896):
• uva ursina, foglie 3 grammi;
• acqua 1 litro.
Bollire per 8 minuti, poi colare.
Se ne consumano 2-3 tazzine al giorno (l’infuso va zuccherato perché è molto amaro).
Per chi non ha tempo e voglia per la preparazione dell’infuso, è disponibile un preparato commerciale a base di uva ursina (Cistarbutosil, Aboca 2 opercoli due volte al giorno).

D-Mannosio   COLIMAN CPR DA  500 MG
Il D-mannosio si lega inoltre alle cellule della stessa mucosa vescicale formando uno strato protettivo simile a quello dei glucosamminoglicani danneggiato dalle infiammazioni ricorrenti, rendendo possibile l'espulsione dei batteri tramite la  minzione. Tale effetto è stato verificato in studi su animali.
E' pertanto considerato un potente antibiotico naturale da utilizzare sia nelle profilassi delle cistiti recidivanti, sia nel trattamento delle cistiti acute, sia nei portatori di catetere a permanenza , che nelle infezioni urinarie in gravidanza, portate  avanti da germi fimbriati.
E' estremamente tollerato e pressochè privo di effetti collaterali. Non altera la flora batterica intestinale.
Può essere assunto dai bambini, dai diabetici e dalle donne in gravidanza.
La dose giornaliera raccomandata varia a seconda della indicazione.
2-3 grammi al giorno nelle fasi acute della infezione

1-2 grammi nella profilassi delle infezioni urinarie

Mirtillo americano (Vaccinium macrocarpon)


E' una pianta appartenente alla famiglia delle Ericacee diffusa nel Nord America. I suoi frutti, bacche , secondo i risultati di numerosi studi clinici e prospettici, sono un utile coadiuvante nella prevenzione delle infezioni del tratto urinario,  in particolare le cistiti.  Gli studi hanno infatti evidenziato che le bacche, da cui si ottiene l’estratto, sono ricche in proantocianidine, sostanze in grado di inibire l’adesione dei batteri alle pareti della vescica, sostenendo l’organismo nell’affrontare eventuali recidive.  Non va  scambiato con il Mirtillo Rosso (VACCINIUM  VITIS )  nè con il Mirtillo nero (VACCINIUM MYRTILLUS) , dotati di prevalente AZIONE DIVERSA  rispetto al mirtillo americano.


Urtica dioica
Intensa azione diuretica svolgendo un ruolo fondamentale nel ricambio idrico . Favorendo la diuresi, cioè la produzione di urina, contribuisce (wash out) alla eliminazione dei batteri dalla vescica in corso di cistiti .
Ha inoltre documentati effetti benefici nell' ingrossamento della prostata benigno.
I diuretici contribuiscono inoltre ad alleviare la sensazione di gonfiore causata dalla ritenzione idrica che precede la mestruazione. Le donne che soffrono di sindrome premestruale possono trarre giovamento dall’ uso dell’ ortica nei giorni   che precedono il ciclo.

angusti foglia
Rafforza le difese immunitarie,ha proprietà antiinfettiva (legata alla presenza delle poliine e dell’echinacoside), dimostrando una sua azione batteriostatica e battericida nei confronti di stafilococco aureo, escerichia coli, pseudomonas aeruginosas.
Proprietà antiflogistica dovuta alla stimolazione di acth da parte dell’ipofisi anteriore (ed conseguente aumento della produzione di glicocorticoidi).

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